"I Fantasmi dell'Opera" (Recital) - Terracina 2016











1
PROLOGO
Da “I PAGLIACCI” 
di Ruggero Leoncavallo

 


Si può?...

Signore! Signori!... Scusatemi se mi presento da solo: io sono il prologo!


Stasera porteremo sulla scena gli antichi personaggi del teatro dell’Opera, fantasmi d’altri tempi che, vivificati dalla musica e dal gioco teatrale, hanno divertito e incantato, hanno fatto sognare e piangere tante generazioni.



Io non sono qui per illustrarvi il valore artistico del nostro melodramma, questo gioiello italiano che tutto il mondo ci invidia. No.



No.



Sono venuto solo per ricordarvi una semplice verità: il teatro e la musica sono la vita stessa. Sulla scena del teatro d’opera vivono vere donne e veri uomini, gente che ama, soffre, ride e piange, tradisce e si dispera … come avviene sulla grande scena del mondo. Gli attori e i personaggi – rammentatelo! - sono esseri umani in carne ed ossa: e anch’essi, come voi, respirano l’aria di questo orfano mondo!



Stasera incontrerete la piccola Butterfly, tradita e abbandonata; il furbo dottor Dulcamara, venditore di un prodigioso elisire; Carmen, la zingara sensuale e capricciosa;  l’anima inquietante di Mefistofele, e i personaggi della celebre Cavalleria Rusticana… 



Voi lasciatevi condurre dalle loro storie,  e cullare sull’onda della musica.


Vi ho detto l’essenziale ... 

Ora ascoltate come a voi stasera lo presentiamo. 

(gridando verso la scena)

Andiamo, ragazzi! Incominciate!
 (si apre il sipario)




2
Da “IL BARBIERE DI SIVIGLIA” 
di  Gioacchino Rossini



La gente che ci sta intorno, gli altri, i nostri simili… certe volte sono proprio insopportabili!

Ma… come sbarazzarci dei seccatori, dei noiosi e dei rognosi, degli invadenti, degli stupidi, di tutti quelli che ci intralciano la strada e ci rendono amara l’esistenza?

C’è un metodo semplice e sicuro per neutralizzare l’azione di disturbo degli altri.  

Sentite un po’ quello che il geniale e astuto don Basilio consigliava al vecchio ingenuo don Bartolo, nel “Barbiere di Siviglia” di Rossini.
 
Ah! Dunque voi non sapete cos'è la calunnia? 
Allora ascoltate!
 
La calunnia è un venticello,
un'auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente
incomincia a sussurrar.
 
Piano piano, terra terra,
sottovoce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando;
nelle orecchie della gente
s'introduce destramente
e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
 
Dalla bocca fuori uscendo
lo schiamazzo va crescendo
prende forza a poco a poco,
vola già di loco in loco;
sembra il tuono, la tempesta
che nel sen della foresta
va fischiando, brontolando
e ti fa d'orror gelar.
 
Alla fin trabocca e scoppia,
si propaga, si raddoppia
e produce un'esplosione
come un colpo di cannone,
un tremuoto, un temporale,
un tumulto generale,
che fa l'aria rimbombar.
 
E il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
sotto il pubblico flagello
per gran sorte ha crepar.

Ah! che ne dite?
3
Da  “GIANNI SCHICCHI” 
di Giacomo Puccini



Come “Le mille e una notte”, il teatro dell’Opera è il racconto di tante storie d’amore. Storie senza luogo e senza tempo, perché l’amore non abita in alcun luogo e non vive nel tempo: egli è signore degli spazi e della memoria, e noi, sue creature, siamo rapiti nei suoi voli misteriosi che lambiscono il cielo e la terra, l’inferno e il paradiso …

E cosa c’è di più bello al mondo che l’immagine dell’amore nel volto di una donna innamorata?

Per questo ci piace aprire con un delizioso quadretto da un’Operina  pucciniana. Gianni Schicchi  è un padre burbero e buono; Lauretta è la sua ‘bambina’ malata d’amore …

GIANNI
No! No! E no!


LAURETTA
(Gli si inginocchia davanti)

Oh! mio babbino caro,
mi piace, è bello, bello;
vo' andare in Porta Rossa
a comperar l'anello!

Sì, sì, ci voglio andare!
E se l'amassi indarno,
andrò sul Ponte Vecchio…
ma per buttarmi in Arno!

Mi struggo e mi tormento!
O Dio, vorrei morir!
Babbo, pietà, pietà ...

(Piange. Gli abbraccia le ginocchia)


GIANNI
(commosso, come chi è costretto ad accondiscendere)


Alzati!

Va’! Va’!Va’!...

LAURETTA
(Si alza, lo bacia e scappa) Sì!...





4
Da  “CARMEN” 
di G. Bizet

 


Un bolero e un volo: quello di Carmen, la zingara.

Lei volteggerà, uccello rapace, intorno alla sua preda.

Poi  getterà un fiore a Don José - il brigadiere che l’ha arrestata - e lo avrà ai suoi piedi per sempre.

E quando il suo uomo rinuncerà a tutto per averla, lei volerà via, come un falco ribelle, rivolta ad un'altra preda. Il suo nuovo amore sarà il segno della sua libertà.

Tante Carmen volano ancora nel cielo. Sono donne che per il loro istinto di indipendenza,  preferiscono rassegnarsi al massacro.  

E’ la sua grandezza e la sua maledizione!


CARMEN


Ehi, tu!  Guardami!  Guardami! Chissà… forse un giorno sarò pazza di te…
Quando?  Mah…  Non lo so.
Domani, forse… o  dopodomani… o un altro giorno.
Ma oggi… oggi no, oggi certamente no!


HABANERA


L’amore è un falco ribelle,
Un falco selvaggio che non puoi addomesticare.
Inutile chiamarlo, se non vuol venire.
Non c’è minaccia,  non c’è preghiera che lo porti là dove non vuole andare.
Tu sai parlare bene, quell’altro se ne sta zitto e buono;
Ed io preferisco quello là! Non sa dire niente, ma mi piace così.


            L’amore!  L’amore è uno zingaro che non conosce leggi.
Tu non mi vuoi?  E io invece ti voglio!
… E se io ti voglio, sta’ attento! Sta’ attento a te!


L’uccello che pensavi di catturare sbatté le ali e se ne volò via.
L’amore è lontano? Siediti là e aspettalo.
Ti sei stancato di aspettare?  Stai per alzarti e andartene… Ed eccolo che arriva!
Ti gira intorno, intorno, intorno…  Ah, è’ venuto finalmente! … E subito se ne va via!
Poi ritorna. Allora tu credi di afferrarlo? Ti sfugge ancora!
Tu vuoi sfuggirgli? Ed egli ti afferra!


            L’amore!  L’amore è uno zingaro che non conosce leggi.
Tu non mi vuoi? E io invece ti voglio!
            … E se io ti voglio, sta’ attento! Sta’ attento a te!


(getta il fiore che ha tra i capelli a don José)


DON  JOSE’  (raccoglie il fiore di Carmen e l’odora)


Che tipo!  Quant’è sfacciata!
Però questo fiore è così bello, e ha un profumo così forte…
Quella donna… Se le streghe esistono,  giuro che quella donna è una strega!
Attento don José,  sta’ attento! Sta’ Attento!





5
Da “MADAMA BUTTERFLY” 
di Giacomo Puccini




Pinkerton, un ufficiale della marina degli Stati Uniti, arriva a Nagasaki e sposa una giovane geisha di quindici anni, Cio-cio-san.  La chiama  “Butterfly”, farfalla.

Per lui è solo un gioco.  Per Butterfly, invece, quelle sono vere nozze.

Poi Pinkerton torna al suo Paese. E Butterfly  lo aspetta. Vuole credere, al di là di ogni speranza, che un bel giorno, sul confine del mare, riapparirà la sua nave bianca.


Ma tu, piccola Butterfly,

continuavi ad essere bambina,

sciocca come l’antichità,

 crudele come il futuro…
e fra te e la tua innocenza
si pose tutta la stupidità e la crudeltà del presente…



Così sparì, Butterfly, in un volo di farfalla,
                   come una bianca ombra d’oro.


 SUZUKI

(prega mormorando sottovoce)

(poi, guardando Butterfly)

… che Butterfly non pianga più, mai più, mai più.



BUTTERFLY

Gli dèi giapponesi sono grassi e pigri.

Sono convinta che il Dio degli americani 

risponda subito a chi lo prega.

Però ho paura ch'egli non sappia con precisione

dove noi stiamo  di casa.

(rimane pensierosa, poi si rivolge a Suzuki)

Suzuki, siamo già in miseria,

o possiamo andare avanti ancora un po’??



SUZUKI

(apre un piccolo mobile e prende poche monete)

Queste sono le ultime.



BUTTERFLY

Queste, le ultime? Oh! Facciamo troppe spese!



SUZUKI (ripone il danaro, mentre sospirando dice:)

S'egli non torna, e presto, siamo proprio ridotti male.



BUTTERFLY (decisa)

Ma lui torna! Torna!



SUZUKI (crollando il capo)

Tornerà …  Sì.  Forse!...



BUTTERFLY (indispettita a Suzuki)

Perché vuole che il Console provveda all’affitto?

Avanti, rispondi, su!

Perché ha fatto mettere in casa tante serrature,

se non avesse intenzione di ritornare?



SUZUKI

Non lo so.



BUTTERFLY (meravigliata a tanta ignoranza)

Non lo sai? (con orgoglio) Te lo dico io. 

Per tener  fuori le zanzare, i parenti e i dolori

e dentro, con ansia gelosa, la sua sposa

che son io: Butterfly.



SUZUKI (poco convinta)

Eppure, non s'è mai udito che un marito straniero

sia tornato al nido. Un marinaio americano, poi…



BUTTERFLY (furibonda)

Taci, o t'uccido.



(insistendo nel persuadere Suzuki)

Quell'ultima mattina, prima che partisse, “Tornerete signore? “ gli domandai.



Egli, col cuore gonfio, per nascondermi la sua pena,

sorridendo rispose: (cerca di imitare Pinkerton)

«O Butterfly, piccina mogliettina,

tornerò con le rose nella bella stagione,

quando fa la nidiata il pettirosso.»

(calma e convinta) E tornerà. Tornerà!



SUZUKI (con incredulità)

Sì. Speriamo.



BUTTERFLY (insistendo)

Dillo con me: tornerà.



SUZUKI (per compiacerla)

Tornerà... sì (poi si mette a piangere)



BUTTERFLY (sorpresa)

Piangi? Perché? Ah, hai perduto la fiducia!

(poi continua fiduciosa e sorridente)

Ascolta.



Un bel dì, vedremo

levarsi un fil di fumo 

sull'estremo confine del mare.

E poi la nave appare,

La nave bianca.

entra nel porto, romba il suo saluto.

Lo vedi? E venuto!



Io non gli scendo incontro. Io no.

Mi metto là sul ciglio del colle e aspetto…

Lo aspetto… lo aspetto …

e non mi pesa la lunga attesa.



E... uscito dalla folla cittadina

un uomo, un piccolo punto

s'avvia per la collina.



Chi sarà? chi sarà?

E come sarà giunto,

che dirà? che dirà?

Chiamerà  “Butterfly”!  dalla lontana.

Io senza dar risposta me ne starò nascosta

un po' per celia, 

un po' per non morire al primo incontro, 

ed egli, alquanto in pena, chiamerà, chiamerà:

«Piccina! Mogliettina,

olezzo di verbena»…

i nomi che mi dava al suo venire.



(a Suzuki)

Tutto questo avverrà, te lo prometto.

Tieniti la tua paura!

Io con sicura fede lo aspetto.

Sì. Lo aspetto.

E verrà!  Verrà! (congeda Suzuki)




6
Da “DON GIOVANNI” 
di Wolfgang Amadeus Mozart

 

Don Giovanni  è un maschio scervellato, uno di quelli a cui piacciono tutte le donne, ma proprio tutte tutte, anche quelle che sarebbe prudente evitare accuratamente, come le donne Elvire.

Invece  Don Giovanni, prima ci casca e poi, vigliaccamente,  se la dà a gambe.

Ci proverà Leporello, il suo fedele servitore a trarlo d’impaccio.

E quando Donna Elvira fuma di rabbia perché Don Giovanni l’ha abbandonata,  Leporello  la consola:  lei  non è né la prima né l’ultima; e per dimostrarglielo tira fuori un catalogo in cui ha annotato, nero su bianco, tutte le conquiste del suo padrone: un numero mirabile di trofei femminili, destinato a crescere perché … Don Giovanni è un dongiovanni, e quando adocchia una donna, “purché porti  la gonnella” e respiri ancora!,   si può immaginare come andrà a finire!

DONN'ELVIRA
(a Leporello)
Ebbene, fa' presto. Parla. Cos’hai da dire?
Come puoi difendere il tuo padrone,   
quel gran mascalzone?

LEPORELLO
Madama... veramente... in questo mondo
Conciossiacosacchè… 
il quadrato non può essere tondo...

DONN'ELVIRA
E che cosa vuol dure questo discorso?
Ti prendi gioco di me… e del mio dolore?
Maledetto don Giovanni!
Mi ha ingannata, mi ha delusa…  e poi 
se n’è andato via… senza una spiegazione, 
senza neppure una parola…

LEPORELLO
Eh! Signorina, credete a me: lasciatelo andare. 
Meglio! Meglio! e
Egli non merita le vostre lacrime...

DONN'ELVIRA
Mi ha ingannata, mi ha delusa, mi ha offesa…

LEPORELLO
Oh! Consolatevi!
non siete voi, non siete stata e non sarete
né la prima né l'ultima.  
Guardate questo quaderno: 
è tutto pieno dei nomi delle sue conquiste.
Ogni città, ogni borgo, ogni paese
è testimone delle sue imprese donnesche.

Signorina, questo è il catalogo 
delle belle che ha conquistato il padron mio;
un catalogo che ho fatto io, con le mie mani:
osservate, leggete insieme a me.


In Italia seicento quaranta,
in Lamagna duecentotrentuna,
cento in Francia, in Turchia novantuna,
ma in Ispagna… son già mille e tre.

Tra queste ci sono contadine,
cameriere, cittadine, dottoresse, studentesse
casalinghe, principesse,
donne donne d'ogni grado,
d'ogni forma, d'ogni età.

Nella bionda egli comincia
con l’apprezzare la gentilezza;
nella bruna, la costanza;
nella bianca, la dolcezza.

D'inverno preferisce la grassottella,
d'estate va cercando la smilza;
gli piace la donna giunonica 
perché è maestosa,
la piccina gli piace perché è vezzosa.
Conquista le vecchie 
per il semplice piacer e di metterle in lista:
ma la sua passione, la sua grande passione,
è la ragazzina di primo pelo.

Non gl’importa se sia ricca, se sia brutta, se sia bella:
purché porti la gonnella,
voi potete immaginare quel che fa!...


DONN'ELVIRA
Ah!  Dunque, per lui, io sono una delle tante!
Ma non la passerà liscia!
Don Giovanni non sa cosa può fare
una donna innamorata e tradita!
Io sento il mio cuore,
che non sapeva dire altro che parole d’amore
ora gridare solo parole di vendetta, 
di rabbia e di dispetto!
A noi due, maledetto!




7
Da “CAVALLERIA RUSTICANA” 
di Pietro Mascagni




Turiddu, ritornato dal servizio militare, ha un'amara sorpresa:  Lola, la sua bella innamorata, ha sposato Alfio, un ricco carrettiere del paese vicino.

Ma poiché “chiodo schiaccia chiodo”, egli affascina e seduce Santuzza, per far morire di gelosia Lola. E Lola non si nega alla sua corte insistente e, quando il marito è fuori casa, si concede al giovane spasimante.

Santuzza sa.  Ma è perdente. Come tante donne destinate ad essere “terze” in storie d’amore di cui avrebbero voluto invece essere protagoniste.

Santuzza, Turiddu, Alfio e Lola: quasi maschere dell’opera dei pupi, mossi dalla volontà di un sordo burattinaio che li spinge verso il loro destino; ma anche personaggi dell’eterna commedia dell’amore sognato e dell’amore tradito,  del desiderio di vita e della disperazione finale.




Santuzza e Lucia

SANTUZZA
(entrando)
Mamma Lucia, vi devo parlare…

LUCIA
(sorpresa)
Sei tu? Che vuoi?

SANTUZZA
Dov’è Turiddu?

LUCIA
A questo siamo arrivati!
Vieni a cercare mio figlio qui, a casa mia?

SANTUZZA
Perdonatemi, mamma Lucia!
Voglio solo sapere dove posso trovarlo.

LUCIA
Non lo so, non lo so, non voglio storie!
Vedetevela tra di voi!

SANTUZZA
Mamma Lucia, vi supplico,
come Maddalena con Gesù Cristo,
ditemi, per carità,  dov'è Turiddu...

LUCIA
Ieri è andato giù a Francofonte,
a comperare il vino…

SANTUZZA
No!  Questa notte l'hanno visto qui, in paese.

LUCIA
Ma che mi dici? 
Stanotte Turiddu non è  tornato a casa!
(avviandosi verso l'uscio di casa)
Vieni qui. Entra!

SANTUZZA
(disperata)
No! Non posso entrare in casa vostra...
Sono scomunicata!
  
Alfio, Santuzza e Lucia

ALFIO
Salute a voi, Mamma Lucia, e a voi comare Santa!
Oggi è festa. E sono contento di stare a casa,
a festeggiare la pasqua con mia moglie!

LUCIA
Beato voi, compare Alfio, che siete sempre così allegro!

ALFIO
Mamma Lucia,
ne avete ancora di quel vecchio vino?

LUCIA
E’ quasi finito; 
ma Turiddu è andato a prenderlo a Francofonte.

ALFIO
Ah, sì? Ma guarda! 
M’era sembrato di averlo visto stamattina
proprio vicino a casa mia.

LUCIA  (sorpresa)
Come?

SANTUZZA  (rapidamente,le fa segno di tacere)
Sssst!

(dalla chiesa si odono canti)

ALFIO
E allora, io me ne vado. Lola mi aspetta.
Ci vediamo in chiesa. (esce)


Santuzza e Lucia

LUCIA
Perché mi hai fatto segno di stare zitta?
Tu che cosa ne sai di mio figlio?

SANTUZZA
Ah! Quale spina ho nel cuore!

LUCIA
Parlami chiaro, Santuzza!
Oggi è Pasqua. Dimmi tutta la verità,
nel nome del Signore risorto.

SANTUZZA
Voi lo sapete, mamma, 
che prima di partire soldato,
Turiddu aveva giurato a Lola 
che al suo ritorno se la sarebbe sposata.
Ma quando tornò, Lola si era già maritata
con compare Alfio, col carrettiere…
E Turiddu, per spegnere la fiamma 
che gli bruciava dentro, si cercò un altro amore.
Mi amò. E io lo amai. 
Ma Lola, invidiosa, incurante di suo  marito, 
bruciava di gelosia...
E me lo ha rubato...  sì, me lo ha rubato!
E io rimango sola e disonorata!
Lola e Turiddu si amano, mamma Lucia!
Si amano, si amano!
E io piango,  piango!

LUCIA
Signore mio, che cosa vieni a dirmi
in questo santo giorno?

SANTUZZA
Che sono dannata! (singhiozza)
Andate in chiesa, mamma, 
andate voi a pregare Iddio, … e per me. 
Turiddu verrà qui, di sicuro.
Voglio supplicarlo ancora una volta !

LUCIA
(uscendo verso la chiesa)
Aiutatela voi, Vergine santa !
(esce)

 Santuzza e Turiddu

TURIDDU
(entrando)
Tu qui, Santuzza?

SANTUZZA
Sì. Ti stavo aspettando.

TURIDDU
Oggi è Pasqua, tu non ci vai in chiesa?

SANTUZZA
Non ci vado. Debbo parlarti...

TURIDDU
Dov’è mia madre….

SANTUZZA
Ti devo parlare...
TURIDDU
No! Qui no!

SANTUZZA
Da dove vieni? Dove sei stato?

TURIDDU
Che significano queste domande?
Sono stato a Francofonte, a comprare il vino!

SANTUZZA
No, non è  vero!

TURIDDU
Santuzza, mi devi credere…

SANTUZZA
No, non mentire;
con questi miei occhi mi sono accorta
che ti avviavi in fondo al sentiero...
Poi giravi e tornavi indietro.
E stamattina, all'alba, ti hanno visto
vicino alla casa di Lola.

TURIDDU
Ah! mi hai spiato?

SANTUZZA
No, te lo giuro. Ce lo ha detto compare Alfio, 
suo marito, proprio poco fa.

TURIDDU
E’ così che mi ricambi l'amore che ti porto?
Che cosa vai dicendo?
Che cosa vuoi? che quello mi uccida?

SANTUZZA
Oh! questo non lo dire... non lo dire!

TURIDDU
Allora lasciami perdere, vattene via!
Non ho bisogno della tua pietà.

SANTUZZA
Tu l'ami?

TURIDDU
Chi?

SANTUZZA
Lola!

TURIDDU
No!

SANTUZZA
Lola è assai più  bella di me...

TURIDDU
Stai zitta! non l'amo.

SANTUZZA
L'ami...  Oh! maledetta!

TURIDDU
Santuzza!

SANTUZZA
Quella cattiva femmina ti ha stregato!

TURIDDU
Bada, Santuzza, io non sono il tuo schiavo!
E mi fai pena, per questa tua stupida gelosia!

SANTUZZA
Allora picchiami, insultami! 
Io ti amo e ti perdono,
ma la mia angoscia è più forte di me.


Lola, Santuzza e Turiddu

LOLA
(dentro la scena, cantando)
Fior di giaggiolo,
gli angeli belli stanno a mille in cielo,
ma bello come lui ce n'è  uno solo.
(entrando)

LOLA
(sarcastica)
Oh! Turiddu...  è  passato Alfio, per caso?

TURIDDU
(impacciato)
Non lo so.
Son giunto in piazza in questo momento…

LOLA
Mah!  Forse è  rimasto dal maniscalco.
Ma non può  tardare,
dobbiamo andare a messa…
(ironica)  E... voi... sentite le funzioni 
standovene in piazza?

TURIDDU
Santuzza  mi stava raccontando...

SANTUZZA
(tetra)
Gli stavo dicendo che oggi è Pasqua 
e il Signore vede tutto!

LOLA
E allora?  Non venite in chiesa?

SANTUZZA
Io no. In chiesa ci deve andare chi è sicuro 
di non avere peccati sulla coscienza.

LOLA
Io ringrazio il Signore e bacio in terra!

SANTUZZA
(ironica)
Oh, brava! fate bene, fate bene, Lola!

TURIDDU
(a Lola) Andiamo, andiamo via!
Qui non abbiamo altro da fare.

LOLA
(ironica) Oh!  Per me … Rimanete pure!

SANTUZZA
(a Turiddu)
Sì, resta, resta, devo dirti ancora una cosa!

LOLA
E  v'assista il Signore:  io me ne vado.
(esce)

 Santuzza e Turiddu

TURIDDU (irato)
Ah!  che hai detto? Maledetta sfacciata!

SANTUZZA
L'hai voluto tu!  E ben ti sta.

TURIDDU
(le s'avventa) Ah! Io…!

SANTUZZA
Squarciami il petto! Scannami!

TURIDDU
(s'avvia) No! No!

SANTUZZA
(trattenendolo) Turiddu, ascolta!

TURIDDU
Va'!  Va'!  Va'!!!

SANTUZZA
No, Turiddu, aspetta!  aspetta solo un poco.
Dimmelo chiaro:  vuoi abbandonarmi?
Vuoi abbandonarmi davvero? Dimmelo qui…

TURIDDU
Perché mi hai pedinato? Perché mi hai spiato?

SANTUZZA
Guardami… Lo vedi? Sono io, la tua Santuzza…
La tua Santuzza che piange e che t'implora;
come puoi cacciarmi così?

TURIDDU
Vattene, ti ripeto! Vattene! Non seccarmi.
E’ inutile pentirsi dopo l'offesa!
E vattene!

SANTUZZA
(minacciosa)
Bada!

TURIDDU
Di te e dell'ira tua, non me ne importa niente!
(la getta a terra e fugge in chiesa)

SANTUZZA
(nel colmo dell'ira)
Traditore! Spergiuro!
(grida:)  A te la mala Pasqua, maledetto!
(cade affranta ed angosciata)



8

Da “MEFISTOFELE” 
di  Arrigo Boito



E’ la notte di Pasqua.

Faust, vecchio e stanco, perso ogni interesse per la filosofia e la scienza, si adagia sulla sua malinconia.

Ma dal suo cuore inquieto, un’ombra prende corpo, quasi un essere vivente…

E’ Mefistofele, il démone che dice sempre “No!”, l’eterno ribelle.

Mefistofele propone a Faust di realizzare ogni suo desiderio, offrendogli quell'appagamento che non ha mai vissuto.

E in un patto scellerato, Faust gli vende l’anima in cambio di giovinezza, sapienza e potere.

Faust e Mefistofele, voleranno insieme per un denso cielo di morte, mentre l’istante incantato sfuggirà sempre agli occhi avidi dell’uomo condannato a una disperante delusione …


FAUST

… Ho camminato tanto.

Ormai è l’ora del tramonto,

e la valle fra poco si riempirà di nebbia.

La notte tesse una rete sotto i passi dell’uomo.

Voglio sedere su questo ceppo, e riposare.

Ma… sento una strana presenza intorno a me,

qualcosa che mi avvolge nelle sue spire…

Che cos’è che mi stringe l’anima?

Svelati, ombra nell’ombra!



MEFISTOFELE

Signore, mi comandate?



FAUST

Chi sei? Come ti chiami?



MEFISTOFELE

Sono una parte vivente di quella forza 

che sempre pensa il male… e fa il bene



FAUST

E che vuol dire

questo giuoco di strane parole!



MEFISTOFELE



Son lo spirito che nega

sempre, tutto; l'astro, la luce, il fiore!

Il mio ghigno e le mie trame

turbano gli ozi al creatore.



Voglio il nulla, voglio

la rovina universale di tutto il creato.

E quello che voi chiamate

peccato, morte e male

È il mio respiro vitale! 



Rido e ripeto questa sillaba: «No.»

Distruggo, mordo, ruggo,  e sibilo: «No.»

«No!» «No!» «No!» «No!»



Abito nelle profondità del nulla,

laggiù dove regna l’oscurità.

Sono figlio delle tenebre

e vado cercando le tenebre.



Odio la luce che usurpa il mio regno,

odio le stelle, la luna e gli astri!

Odio il silenzio dei cieli,

odio il sorriso degli innocenti…



Rido e ripeto questa sillaba: «No.»

Distruggo, mordo, ruggo,  e sibilo: «No.»

«No!» «No!» «No!» «No!»



FAUST

Strano figlio del caos!...



MEFISTOFELE

Se tu, assetato di conoscenza,

vuoi farti mio socio, 

io ti farò conoscere il mondo che non sai.

Sarò al tuo servizio,

come tuo schiavo, come tuo servo.



FAUST

E che cosa vorrai in cambio?



MEFISTOFELE

C'è  tempo , c’è tempo!...

Un giorno te lo dirò.



FAUST

No,  parla chiaro: che cosa vorrai in cambio?



MEFISTOFELE

Io qui mi lego a te come servo fedele

E soddisferò tutte le tue voglie; 

ma laggiù (m'intendi?) faremo al contrario.



FAUST

L'altra vita? Quella non mi preoccupa più di tanto. 

Se tu riesci a dare alla mia anima su questa terra

anche solo un'ora di riposo;

Se riesci a svelare me a me stesso;

se potrò dire una volta all'attimo fuggente:

«Fermati: sei bello

e tenerlo fra le mie mani,

allora, suoni pure per me la campana a morto!

Io sono tuo.



MEFISTOFELE

Sta bene! Qua la mano!

 (si danno la mano)



FAUST

E quando s'incomincia?



MEFISTOFELE

Subito.



FAUST

Allora, presto! Dove andiamo?



MEFISTOFELE

Dove vuoi tu.



FAUST

Voglio volare lontano. Come si va? 

Dove i cavalli, le carrozze?



MEFISTOFELE

Non occorre nulla, Signore!

Aspetta ch'io distenda il mio mantello.

Ecco: Sali!

Noi viaggeremo sull'aria.


9
Da “ELISIR D’AMORE” 
di Gaetano Donizzetti




In piazza c'e' un gran movimento. Oggi è festa.

Tutti sono contenti.  Tutti… tranne Nemorino.

Nemorino è infelice, perché è innamorato.  Ma Adina, la ragazza che ama, sembra interessata, più che a lui, ai bei soldatini in divisa che fanno la ronda in piazza…

All’improvviso appare sulla piazza un omone dalla voce possente, il dottor Dulcamara.

Dulcamara è solo un cialtrone che si spaccia per guaritore, per mago. Un venditore di niente, un marpione che vive e prospera come tanti Dulcamara di oggi.

Perché… non siamo forse ancora assediati da ciarlatani, in questo nostro grande paese di Acchiappacitrulli?



DULCAMARA



Udite, udite, gente! Attenti, e non fiatate.

Io già suppongo e immagino che tutti voi sappiate

che io sono quel gran medico,

dottore enciclopedico chiamato Dulcamara,

la cui virtù preclara e i portenti infiniti

son noti in tutto il mondo... e dintorni!



Benefattor degli uomini, guaritore di ogni male,

in pochi giorni io sgombero, spazzo gli ospedali,

e vado per il mondo a vender la salute.

Compratela, compratela, per poco io ve la do!



In questo flaconcino c’è un mirabile liquore,

di cimici e zanzare potente distruttore,

i cui certificati autentici e bollati

toccar vedere e leggere a ognun di voi farò.



Per questo mio portento, un tal settuagenario,

padre di dieci bimbi di colpo diventò.



Per questo «tocca-sana», in una settimana

più d'un afflitto giovane di piangere cessò.



O voi, signore anziane, ringiovanir bramate?

Le vostre rughe scomode con esso cancellate.



Volete signorine, ben liscia aver la pelle?



Voi giovanotti intrepidi, volete aver ragazze?

Comprate il mio liquore, per poco io ve lo do.



Egli muove i paralitici, guarisce gli apoplettici,

gli asmatici, gli asfittici, gl'isterici, i diabetici,

Comprate il mio liquore, per poco io ve lo do.



Apposta l'ho portato da lungi mille miglia!

Direte: quanto costa? quanto vale una bottiglia?

Cento scudi?... trenta?... venti?

No...  nessuno si sgomenti.



Ecco qua: un sì stupendo, un sì balsamico elisire

tutta Europa sa ch'io vendo

a non men di dieci lire:

ma siccome è pur palese ch'io son nato nel paese,

per tre lire a voi lo cedo, sol tre lire a voi richiedo.

Ah!  I miracoli dell’amor di patria!





NEMORINO (al pubblico)



Ha forse il cielo mandato proprio per mio bene

quest'uomo miracoloso qui nel villaggio?

Voglio proprio provare la sua straordinaria scienza.



Dottore... perdonate...

È vero che possedete segreti meravigliosi?..



DULCAMARA

Meravigliosi? … Sorprendenti!

La mia saccoccia è come il vaso di Pandora.



NEMORINO

Avreste voi... per caso... la bevanda amorosa della regina Isotta?



DULCAMARA

Ah!... che?... che cosa?



NEMORINO

Voglio dire... lo straordinario  elisir che fa innamorare...



DULCAMARA

Ah! sì sì, capisco, capisco. 
Neanche a farlo a posta! Proprio io ne sono il distillatore.



NEMORINO

Davvero?



DULCAMARA

Beh, beh! Se ne fa un gran consumo alla tua età.



NEMORINO

Oh, che fortuna!... e ne vendete molto?



DULCAMARA

Oh! Tanto! Tanto! Ogni giorno in tutto il mondo.



NEMORINO

E quanto costa?



DULCAMARA

Poco... assai... cioè... secondo...



NEMORINO

Uno zecchino d’oro... in tasca non ho nient’altro...



DULCAMARA

Uno zecchino d’oro …  è la somma giusta.



NEMORINO

Ah! Allora datemelo, dottore.





DULCAMARA

Ecco, fortunato giovane, il magico liquore.





NEMORINO

Obbligato, signore, obbligato!

Sono davvero felice.

Vi benedica il cielo, illustre dottore!



DULCAMARA (al pubblico)

Nel paese che ho girato

più d'un gonzo ho incontrato,

ma uno sciocco come questo 

mai l’ ho visto in verità.



NEMORINO

Ehi!... dottore... un momentino...

Ditemi: come si deve usare?



DULCAMARA

Con riguardo, pian, pianino…

La bottiglia un po' si scuote... Poi si stura... ma, attento!

che il vapore non se ne vada.

Quindi al labbro lo avvicini, e lo bevi a centellini,

e l'effetto sorprendente presto arriva...



NEMORINO

Sul momento?



DULCAMARA

A dire il vero,

necessario è un giorno intero.

(al pubblico)

Tanto tempo è sufficiente per  darmela a gambe.



NEMORINO

E il sapore?...



DULCAMARA

Eccellente...    

Giovanotto! Ehi, ehi!...                                                                                          
                                                
NEMORINO

Signore?



DULCAMARA

Su questo affare... silenzio!... sai?

Oggi vendere l'amore

è un affare pericoloso assai:

potrebbe impicciarsene l’autorità, e ….



NEMORINO

Vi do la mia parola: non lo saprà neanche un'anima.



DULCAMARA

Va, fortunato mortale;  ti ho donato un tesoro:

tutte le donne domani sospireranno per te.

(al pubblico)

Ma domani di buon mattino

Io sarò ben lontano di qua.



NEMORINO

Ah! dottore, vi do la mia parola

che lo berrò per una sola donna,

e che non ne resterà neppure una goccia

per nessun’altra. 



(Dulcamara esce)



NEMORINO

Caro elisir! Finalmente mio! Sì tutto mio... 

Come dev’essere potente la tua virtù!

Ancora non ti ho bevuto,

e già mi sento il cuore pieno di gioia! (lo bacia)



Voglio berlo subito. (beve)

Oh, buono! oh, caro! Un altro sorso.

Oh, quale dolce calore sento scorrermi nelle vene…



Sono sicuro che in questo preciso momento

anche lei… sta incominciando

a sentire  la stessa fiamma .



Ne sono sicuro, sì… Ne sono sicuro…
  
10
EPILOGO
Da  “ADRIANA LECOUVREUR” 
di Francesaco Cilea



Abbiamo evocato, stasera, i fantasmi del Teatro d’Opera, personaggi che hanno fatto fremere e sognare intere generazioni.



Sullo sfondo della finzione scenica, maschere di donne innamorate e di creature dolenti, di sognatori e di furbi, di allegri truffatori e di ghigni diabolici …



E’ il gran teatro dell’esistenza!



E dietro ogni maschera, le nostre voci di commedianti.



Evocando i fantasmi dell’Opera, abbiamo voluto presentarvi “squarci di vita”, perché il teatro è la vita, e la vita è teatro.



Noi che la vita la imitiamo sulla scena, come diceva Adriana Lecouvreur, una grande attrice, non siamo che servi del Genio creatore:  egli ci dona la sua  parola  perché noi la doniamo a voi.





Io son l'umile ancella del Genio creatore:
egli mi porge le parole, ed io le diffondo nei vostri cuori...

Di tanta poesia, io non sono che il ritmo, l'accento,
solo l'eco del dramma umano…

Ora dolce, ora allegra, talvolta atroce…
Il mio destino è essere fedele.

La mia voce non è che un soffio,
l’ombra di un sogno
che svanirà alla luce dell’alba…


A voi, che questa sera avete accolto questo nostro dono, grazie, grazie!